“Il trasloco” è online // From Milano to Santa Fè

Finalmente, dopo tanta attesa, il cortometraggio “Il trasloco” è stato pubblicato sul sito Mulino Bianco. La gara è aperta, fino al 15 Giugno.

In concorso, oltre al lavoro sopracitato di cui ho curato la regia ed il montaggio collaborando con Matteo per la direzione della fotografia e Federico per la sceneggiatura, l’altro video di Raffa, Do e Lou dal titolo “Indovina chi viene a cena”. Ai vincitori verrà assegnato un viaggio studio niente meno che a Santa Fè, nel New Mexico. Speriamo di poter volare oltreoceano, se tutti date il vostro un piccolo contributo accedendo al link del concorso che trovate qui, e cliccando su “mi piace”.

Spero non vi disgusti. Buona visione a tutti 🙂

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Salvation for 55DSL // Where are we running?

Il nuovo anno, che oramai nuovo non è più, si è affacciato, per me, in piena corsa, a 200 chilometri orari e, senza nemmeno potersi fermare un minuto per rendersene conto, è arrivata pure la primavera con i suoi sapori, colori, facce ridenti, occhi profumati e ormoni saltellanti qua e la.

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Dopo Mulino Bianco, è arrivata la proposta 55DSL, accolta e sviluppata con molto entusiasmo.

Questo uno degli 11 video teaser che sono stati presentati giusto ieri al III Open Progress NABA per il progetto 55DSL Fifty Five Fights 4 The Future, come completamento e avanzamento dei progetti dei ragazzi del terzo anno di Grafica. All’incontro era presente Andrea Rosso che, insieme al suo staff, valuterà quali i progetti migliori e più adatti alla campagna creatasi per questa interessante collaborazione di Diesel con NABA, costruitasi grazie al sempre preciso intervento e supporto estremo di Igor Muroni, docente dell’accademia.

Per saperne di più del progetto, c’è qualche parola rilasciata anche sul sito di Vogue, oppure su Artribune, uno dei tanto blog che ne parlano.

See you

G.V.

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Noi, mulini bianchi // Arriviamo, tra poco poco

Tra granetti e pan bauletto, pangrì e tanti tanti pan di stelle, il famigerato cortometraggio Mulino Bianco sta per essere ufficialmente sfornato; esiste , se non altro. Dopo il montaggio, partorito in poco più di settimana dopo giornate nerd e notti bianche, è arrivato il momento della color correction. Toccherà, dulcis in fundo, al montaggio audio e alla post produzione.

Il cortometraggio verrà pubblicato sul sito ufficiale Mulino Bianco i primi giorni del mese di Marzo. E sarà votabile, e voi tutti dovete tenervi pronti a sostenerci.

Basterà poco poco, tra poco poco.

Muove la soddisfazione tipica della fine di una lunga camminata ed un sorriso si apre tra il mento e la punta del naso, dopo tutto.

PS Qui, in anteprima, un frame del lavoro.

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Noi, mulini bianchi // Le considerazioni del dopo partita

Dopo lunghe settimane di pre-produzione, compromessi, dirottamenti e voglia di fare siamo arrivati qui. Il cortometraggio per la Mulino Bianco sta prendendo vita, un po’ come quando dai l’anima e la forza fisica per molto tempo ad un progetto e vederlo comporsi sotto i tuoi occhi non può che lasciarti un qualche sorriso e disperato segno di soddisfazione. Le riprese sono finite, già da più di una settimana oramai. Il montaggio non ancora del tutto, questione di pochi giorni.

Qualche mese fa, dopo un concorso interno alla NABA al quale ho presentato i miei lavori, sono stato scelto per produrre un video commissionato dalla sopra citata Mulino Bianco. Agli albori non si sapeva ancora esattamente quale sarebbe stato il prodotto effettivo. Beh, ciò che ne uscirà sarà un cortometraggio, narrativo a tutti gli effetti.
Il corto racconta la storia di tre ragazzi nel momento del trasloco dall’appartamento in cui hanno convissuto per tutti i loro anni universitari. Attraverso i vari ricordi ritrovati nel disordine ripercorrono alcuni dei momenti insieme, suggeriti anche da delle proiezioni che si accenderanno sulle pareti bianche della loro casa e sugli oggetti che hanno riempito e riempiono i loro spazi, ancora per poco.

Io, nel lavoro, ho firmato la regia ed il montaggio, Federico di Corato è stato l’autore della sceneggiatura mentre Matteo Stefan ha curato la fotografia e curerà anche l’aspetto di sound design. Fondamentale, grande e bravissimo cinematographer, Giacomo Frittelli è stata la nostra colonna portante, senza dubbio. Unitosi al progetto i primi giorni di Gennaio è stato abilissimo a fare in modo che niente si disintegrasse, che tutto andasse come doveva, che tutta la produzione scorresse e non si inciampasse, che tutto al momento del primo ciak fosse prontissimo. La scenografia è stata curata da Federica Barbino, bravissima nell’organizzazione, attenta a tutti i piccoli dettagli e molto precisa (non dimentichiamoci la via crucis dall’Euro Brico alla location con tutto il materiale, e la macchina, con bagagliaio ovviamente splancato, carica fino a scoppiare). Grandissime e di supporto estremo Cecilia Signaroldi, Laura Palombi, Alessia Zampieri, Antonia Bonifacio, Arianna Beretta per il trucco fantastico e tutti tutti tanto tanto…indistintamente.
Non nego che sono molto curioso di quella che sarà la fine, quando basterà schiacciare play ad un file e tutto sarà al proprio posto. E’ stato stancante e stressante a molteplici riprese ma col senno di poi mi ritengo orgoglioso di ciò che vedo e dell’esperienza e di come ci siamo capiti, alla fine. Sono stato contento di nuove collaborazioni, mai deludenti, anzi. Tutte nuove porte che si aprono e basta. Non resta che attendere il primo Marzo, data in cui i lavori verranno caricati sul sito della Mulino Bianco per essere votati. Ci saranno dei vincitori, si. Il team del corto vincente verrà spedito niente meno che a Santa Fè (New Mexico) per un’esperienza di studio all’estero.
Incrocio le dita, non lo nego, un po’ di gola la fa.

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Cut Off, finalmente

Tutto questo è un po’ come la forza di un bambino che per la prima volta muove un passo verso il mondo, fuori, così grande che quasi gli fa paura.
Dopo giorni e giorni di testate, dopo tanto vagabondaggio tra aule, case e sangue da scavare, dopo tante parole buttate e altrettante imparate, sempre, Cut Off è servito.
Almeno per ora è un po’ come un piccolo tesoro, il primo piccolo tesoro, spero di una lunga serie di piccoli e grandi tesori. Quello che si vede è un po’ quello che mi batte dentro. Non so quanto, non so dove ma tra decine di inquadrature qualcosa di profondamente mio esiste, ne sono certo, a partire dai muri che delimitano le stanze.
Ogni volta che lo ripercorro è un po’ come se tantissime scosse elettriche ripercorrano me, per distendermi le ossa, come quando la sera mi infilo sotto le lenzuola, con il buio che si aggrappa alla pelle.
Non c’è molto altro da aggiungere, è bellissimo sempre non dare troppa importanza alle parole, che, appunto, sono solo parole.

Grazie a Do, per avere condiviso tutto quello che si nasconde dietro, dentro e domani, per il risultato stupendo, per la tua sensibilità, che è anche la mia.
Grazie a Lau, per essere stata lì e restare qui.
Grazie a chi ha preferito il cielo e ha lasciato nell’aria il senso della determinazione, e mi ha insegnato a correre, sempre.

A chi soffrirà per un solo attimo di vertigini, in fondo.

Buona visione!

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Tra le due e le tre e trentatré, silenzio

Ed è un attimo appena e mi fai già stare bene. Sembriamo quasi in equilibrio perfetto, sempre in punta di piedi a fare a gara chi per primo cade giù.
Se ti va, potresti prendermi in pugno il cuore e masticarlo avidamente così che scenda vicino al tuo. Io, da qui ti annuso tra la polvere e non ho il coraggio di non continuare.
E mi fai sollevare, e mi devasti e mi sbatti la faccia contro la tua. E ti guardo guardarmi, ed è bellissimo incantarsi, aggrapparsi, camminare fino a perdersi, sempre.
Tu che forse sei già qualcuno, tu che mi ricordi il vento e l’odore delle lenzuola fresche, tu che ti piaci e mi piaci, tu che fai sorridere pensandoti già dentro.
E’ che quando incrocio la tua stessa direzione, scelgo il posto affianco al tuo, mi siedo ed è come un viaggio nel viaggio. Mi hai ipnotizzato in uno schiaffo di ossigeno puro, intubato a un letto in una gelida mansarda.
Mi ero promesso il silenzio, di socchiudermi la bocca a stare zitto. Invece no.
Rimani dietro, sul fondo, con le spalle inchiodate al muro, come in segno di pentimento. Per disposizione sparisci, e lasci solo rumore e armonia allo stesso tempo.
Sono semplicemente sorpreso come sia ora il momento di sbatterti la porta dritta in faccia, a spaccarti le labbra e farti bere il sangue che anche a me hai fatto assaggiare, amaro, senza pensare a quanto avrebbe potuto fare male non fermarsi a guardare una sola volta in più. Come un equilibrista, a centomila metri dal suolo, muovo qualche passo lento, sui nervi tesi e le cellule cerebrali arruffate, come i miei capelli ed i tuoi, anche. Ho attraversato la notte, così tanto, e di questo, e quello, e di noi?

SILENZIO.


FALL // E’ ora di sbriciolarsi, come petali dell’autunno. Siamo molecole di luce e buio, siamo valigie, particelle in volo del nulla che ho sognato per te.


ADDICTION // Vertigini, voragini, uragani di note, entrare dentro e sentirmi libero di legarci in catene.


BLINDNESS // E’ stato il tuo riflesso a raccontarmi favole di cenere, che tutto guarda sempre al cielo, che anche l’apocalisse avrà con se l’odore del tuo nome.


MIRRORED // Mi sussurravi adagio, mi uccidevi piano. Mi hai regalato croci da trasportare, sangue da respirare, l’immenso e le mani per soffocarmi sempre.


EVANESCENT // Impossibile comprendere che resta. Non combaciano le orme con i passi. Anche i bordi i più precisi della notte si disperdono lasciandoci qui niente.


LOVE? // Le onde a riva scambiandosi ad inerzia, che ci sfiorano sporcandoci di vita. Sto contando le frequenze positive tra carezze che tirano a salvarsi.


BUTTERFLIES // E scambiarci gli occhi per fare l’amore, e toccarci per capire cosa siamo. Soffocarci di respiri per sentirci in aria semprevento.


FEMME FATALE // Guardandoci attraverso, colpiti da desertici raggi di gelo. E’ stata la preannunciata guerra, proiettili e sassi a squartarci come stracci.


SOMEWHERE BETTER // Gocce di alchimia, colorate del sole quando va a morire. Disegnarci segni riempendo d’incertezza i gesti, mentre tendi all’infinito dove puoi trovarti il senso.


THE EDGE OF US // C’è una gioia insipida quando mi annusi, poi mi ritrovi in ogni atomo ed è già tardi per restare.

Un progetto di fotografia che ho scelto di chiamare, appunto, "SILENZIO".
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Maledetto sia io // Lasciaci ballare

Strade ruvide che scorrono sotto il mio culo. In cielo pennellate del crepuscolo, oramai il sole sta morendo da un bel pezzo.
Maledetta sia la radio e la pubblicità, che quando hai voglia di una bella canzone, sei rilegato ad ascoltare la demenza.

Non mi fai ancora bene. Da fuori non lo vedi più. Te lo prometto.

Maledetto sia il silenzio, e il profumo di Milano, che quando apri la finestra entrano i clacson e le ambulanze. Che ascoltarle capita sempre di amare il mio sangue a maggior ragione.
Maledetta sia l’abitudine di pensare, e la mia ossessione a cercare risposte, che non è ora tempo di subire.

E’ che dà fastidio restare in equilibrio, con una scarpa allacciata e un piede ancora scalzo. 
E poi cadere in piedi, e sgretolarsi per forza una metà.

Maledetto sia il freddo, e le mani congelate, e i piedi sotto il piumone che strofino alternativamente contro i polpacci. Ad Ottobre.
Maledetta sia la tua mancanza, non tanto per quello che resta ma per quello che domani speravo di te.
Maledetti siano i film, e gli attori che piangono. Che a volte mi piacerebbe saperli imitare.
Maledetta sia la mia pancia gonfia, che mi siedo e vorrei strapparti via, come strappo gli scontrini del supermercato.
Maledetta sia la copertina di “Nessuno si salva da solo”. Che sopra la dolcezza, c’è la verità che di me non vuoi mai credere.

E penso che avremmo dovuto fare ancora tanto.
Non sarà più quel tanto che è racchiuso in cinque lettere.
E ci penso io a darmi ancora un senso se proprio non c’è tempo di restare.

Maledetto sia questo lungo inverno, che per noi è già iniziato, e che se esci col maglione pensi subito di avere già sbagliato tutto.

Maledetto sia anche il vento, che mi porta gli odori e l’aria umida che mordeva con me le tue piccole labbra bellissime. Che tanto ti dava i brividi lo sfiorarti sulla schiena. E lo stringerti i capelli tra le dita.
Maledetta sia l’acqua gelida, che mi scivola addosso non appena accendo la doccia, e che è bellissimo quando ancora avverti le braccia bruciare.
Maledetta sia la velocità di una sigaretta, della luce che arriva alle sei la mattina. Del buio in generale.
Maledetto sia il mio cuscino, e il sudarsi che ricordo bene. E la voglia.
Maledetta sia l’abitudine di perdersi, la fame prima di andare a letto. La claustrofobia di un abbraccio. Che lascia la maglietta stropicciata e i muscoli stanchi.
Maledetta sia la collezione di parole, che ho mani lente e fragili. E i miei battiti che vorrei regalarteli, che li consumassi stritolandoli con gli occhi.

Non fai ancora bene. Non me ne accorgo più.
 Dentro, per favore, lasciaci ballare.

E che maledetto sia io.

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E’ solo un altro anno che passa, in fondo.

Ecco, è di nuovo cambiato tutto.

E’ solo un altro anno che passa, in fondo.

Ho ucciso la maggior parte del tempo ad osservare i giorni alterni morire, così di petto che arrivo ad un punto di non ritorno e decido che inevitabilmente qualcosa deve ricomporsi, dentro di me. Va bene, sono fottutissime parole, ma da qualche parte bisogna pur iniziare. E il rispetto per me stesso penso sia da riconsiderare da zero.

Vorrei tracciare con una sottilissima matita la curva di questa mia estate, e di questo mio settembre, e di questa mia malatissima voglia di serenità. Sarebbero tre scarabocchi penso, di quelli che dai un pennarello nero in mano ad un bimbo di due anni, ed un foglio bianco.

Ho bisogno di partire e di non tornare più, ho bisogno di tempo, di sputare tutta l’angoscia accumulata, di sputarla lontana. E di respirare e respirarmi a pieni polmoni. Eppure sono un fumatore, brutto segno. Sarà mai possibile che il tempo permetta alle mie stesse gambe di reggermi, quel poco che basta perchè i muscoli (e includo anche il più involontario) si ricostruiscano?

Ho fiducia, alla fine. Mi dimostro debole a me stesso, troppo spesso, ma non sono così deluso alla fine.

Sono semplicemente schifato. Mi viene da vomitare.

Sento che devo fare un po’ di pace. Col cielo, con me stesso.

Ma quando resta uno spazio vuoto, siamo così sicuri che la cura debba venire solo da noi stessi?

A volte non ce la si fa da soli, non a caso esistono miliardi di esseri umani al mondo. Eva sarebbe mai sopravissuta con il suo solo stomaco?

Ecco, un rifugio c’è. Ed è quel rifugio sublime che racconta tutto e niente, che fa piangere e saltare, che fa sudare e fa anche male da morire. Soprattutto fa male da morire. Che ci trapana i timpani ovunque, ovunque c’è. Ci ho provato sempre, quando sentivo di preferire la discesa alla salita, a confondermi con lei, a sporcare fogli di parole per sentirmi dentro di lei, di lasciarmi invadere il sangue e i battiti, di lasciarmi portare via e di sentirmi quasi in colpa di doverla salutare, prima di sognare, la notte.

E aprire gli occhi e farmi accompagnare per la strada, a passi rapidi, per illudermi di andare forte.

Ma è bellissima la vita, cazzo. Prima o poi ti insegna a sorridere, penso sia solo un discorso di attese.

Vorrei continuare a inventarmi esperienze e sorrisi da condividerci e da farti mangiare.

Vorrei rubarti gli occhi, e a volte sostituirli con i miei per vedere ciò che non vedo. Perché qui dietro, qualcosa esiste.

Ho sempre preferito non capire, non saper spiegare. Davvero spesso si sente di dover soffrire per dare il giusto valore alle cose. E spesso è vero, è necessario. ma stavolta no, non serve giustificarsi dietro alle ombre che ognuno si porta con sè.

C’è odore di silenzio. C’è odore di autunno e di foglie secche. C’è odore di acqua sporca e di vento umido. C’è odore di maschere defunte e di cicatrici rosse. C’è odore di paura, di rancore e di ricerca. C’è odore di sole, e di ombra, e di una giornata fantastica, e di un fuoco fastidioso.

Che brucia via tutto.

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Ho ancora fame // Un testo dritto dallo stomaco

Quando ad esempio non trovi sonno, ti siedi a quattrocchi con un foglio e vomiti parole… Tante, infinite…Come voler parlare, soffocare, morire…e poi andare a dormire

Ho ancora fame

Ti ho lasciata un po’ dormire sopra il petto
E per imposizione poi, ho spento tutto quanto
Quel tuo stereo vintage che sputava note
Che ascoltare adesso sarebbe solo soffocare

Un po’ me ne vergogno di restare ancora appeso
Di non spingermi mai fuori dove forse è uscito il giorno
E che aprirò la porta ad un altro inverno gelo
A volte senza fiato, per te esistere è lo stesso

Come puoi lasciarmi andare?
Provo a dirti che di te ho nel pugno tutto il cuore
E le lotte, i tuoni, i calci e di nuovo ho ancora fame
Tu non mi fai andar via l’abitudine a morire

Scorrerei le mani ancora per attraversare il cielo
E per disposizione poi chiuderei le ali in volo
E sfonderei anche i fili che ci reggono alle nuvole
Crolleremo forse insieme per stranezza di abitudine

Dici sempre che è normale questa foga di sporcarsi
Mi fermo qui ad un passo, ci siamo già fin troppo persi
Come schegge di metallo che si infilano più a fondo
Come stai? Dove sei? Non lo sai? Finalmente ho detto tutto

Come puoi lasciarmi andare?
Provo a dirti che di te ho nel pugno tutto il cuore
E le lotte, i tuoni e i calci e di nuovo ho ancora fame
Tu non mi fai andar via l’abitudine a morire

Come puoi lasciarci andare?
Cadono parole vuote che non mi spetta di riempire
E di notte i muri spessi e di nuovo ho ancora fame
Tu non mi fai andar via l’abitudine a morire

Quanto pesa ora lo stomaco
Sto imparando a respirarmi
Ho perso vita per non provare a respirarti
Come stai? Dove sei? Cosa fai? Mi manchi, adesso dentro
Come stai? Dove sei? Non lo sai? Finalmente ho detto tutto

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Semprevento

...come quando ti senti vento.

GIULIO VOLPE – SEMPREVENTO

Non sentivi quella luna farsi muta
Con gli sguardi sparava solo brividi
Ci ha indicato con un raggio un viaggio strano
E il posto non lo scegliamo mai da noi

Nel difenderci ho inventato serrature
E oscurate per paura della luce
Sigillato con sale le ferite
Non sempre ma è bello anche morire

E scambiarci gli occhi per fare l’amore
E toccarci per capire cosa siamo
Soffocarci di respiri per sentirci in aria sempre vento

Non è il tempo che cambia la sostanza
La melodia resta sincronizzata
Con il battere incalzante nello stomaco
Traccio intrecci tra la mia e la tua strada

Le onde a riva scambiandosi ad inerzia
Che ci sfiorano sporcandoci di vita
Sto contando le frequenze positive
Tra carezze che tirano a salvarsi

E scambiarci gli occhi per fare l’amore
E toccarci per capire cosa siamo
Soffocarci di respiri per sentirci in aria sempre vento

E saltare a vuoto dalle stelle
Perché a volte il senso è nel coraggio
Soffocarci di respiri per scoprirci in un perenne viaggio

Che deraglia, ritorna
Ci stanca e dà forza
Trasforma impaziente con impeto d’onda
Con soste a fermate a noi sconosciute
Ci sbriciola addosso il sapore di stanze socchiuse

E scambiarci gli occhi per fare l’amore
E toccarci per capire cosa siamo
Soffocarci di respiri per sentire addosso dove andiamo

...dove andiamo?
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